il mio pensiero è che la fotografia come linguaggio espressivo ha vari supporti "grammaticali" per raccontare agli spettatori la nostra idea nata dal cervello e approdata su un foglio di carta (o, modernamente, su di un monitor): fra gli altri la lunghezza focale, la profondità di campo, la visione verticale o orizzontale, il taglio, le masse distribuite nell'inquadratura, il contrasto, l'illuminazione e soprattutto, l'uso del colore o dei toni di grigio; quindi, premesso questo, se si arriva alla decisione se fare bianconero o colore DOPO lo scatto, magari vedendo il file sul monitor, sono convinto che all'origine non era chiaro neppure a noi stessi il discorso che andavamo ad affrontare, quindi c'è povertà di linguaggio, c'è poca chiarezza d'idee e di intenti; su questo credo ci si debba interrogare per capire quanto spessore mettiamo nei nostri scatti e quanto valore ha la nostra cultura espressiva.
in tutto questo l'avvento del digitale non penso abbia peso: se non si hanno le idee chiare su ciò che vogliamo comunicare e su come farlo, oggi scegliamo su un monitor, ieri portavamo a casaccio all'occhio uno dei due corpi macchina che pendevano dal collo carichi di pellicola diversa, ma sempre si tratta di incoerenza di linguaggio, di intenti.
insomma, stringi stringi, si deve "vedere" in bianconero, indipendentemente dal supporto (sensore o pellicola) che si usa.
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